domenica 26 aprile 2020

La nostra pandemia - Il dopolavoro sospeso

Ormai sono diversi mesi che sono in pensione e ho l’impressione di aver combinato poco. 

Nel periodo che ha preceduto il pensionamento ero molto preoccupato di non avere un progetto sul mio futuro, poi, dopo un primo momento di disorientamento e di crisi di identità, mi sono abituato all’idea che in fondo avrei potuto rilassarmi e vivere questo momento come un “anno sabbatico” in attesa di capire che fare. Ho iniziato ad apprezzare la possibilità di fare tutte quelle cose che non avevo mai avuto il tempo di fare, in particolare quelle “attività manuali e pratiche” che mi sono sempre un po’ mancate lavorando. 

La manutenzione della casa, del giardino a Torino e al mare. C’era la speranza di continuare ad avere ancora la possibilità di fare un po’ di libera professione con i miei pazienti che, nella fase di passaggio al nuovo medico, avrebbero forse ancora avuto il desiderio di confrontarsi con me, anche perché l’ultimo periodo era stato ricco di dimostrazioni di stima e di affetto da parte di molti. In realtà le richieste sono state assai poche, ma tutto sommato mi davano la sensazione di continuare a tenere un filo. 

L’organizzazione del convegno sul disturbo somatomorfo mi ha dato la sensazione di fare ancora qualcosa di utile.

Poi il tempo sospeso dell’epidemia. Inizialmente non è stato così disturbante, in fondo avevo qualcuno di cui prendermi cura: Barbara, mia moglie, ha avuto la pertosse (!) con conseguente incrinatura di una costola.

Ma intanto i pazienti sono spariti quasi completamente e sono rimasto spiazzato non tanto dal fatto che si fossero dimenticati di me, ma ancora di più che anche i colleghi ancora attivi vedessero e sentissero pochissimi pazienti. Ma come? In un momento come questo non hanno più bisogno di aiuto, non tanto dal punto di vista sanitario, ma soprattutto di quel sostegno “psicologico” che mi sembrava  una parte così importante del nostro lavoro? 
Allora che senso ha avuto il mio lavoro in tutti questi anni? Capisco la paura di andare in ambulatorio e in ospedale per il rischio di contagio, capisco che i bambini non andando a scuola si ammalano molto meno, ma chiusi in casa tutto il giorno bambini e genitori non vanno fuori di testa? I “miei” genitori mi sembravano così fragili, così poco in grado di gestire le difficoltà, così poco strutturati per affrontare una situazione di questo genere. Eppure…

Mi rifiuto di avallare la tesi banalizzante di chi dice “ci prendevano tutti in giro”. Forse i nodi verranno al pettine fra un po’, quando, forse, il peggio sarà passato. Ma a quel punto in una situazione di crisi economica inevitabile che senso avrà proporsi con un rapporto libero professionale? Ma che alternative ci sono? Avrebbe senso un uso professionale di Facebook?

Forse sarà meglio lasciar perdere e buttarsi sul volontariato. Ma forse per ora i 70 anni, che mai come in questo momento mi vengono ricordati come un segno inequivocabile di vecchiaia, mi impongono di essere prudente e di aspettare ancora un momento, ma quanto? Per il momento comunque occuparmi del giardino e del terrazzo è una bella fortuna e una soddisfazione…

Paolo

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