venerdì 30 aprile 2010

La società "negoziale"

Si è svolta, come da programma, la serata con la prof.sa Zaltron dal titolo "Perché i genitori di oggi sono così in difficoltà nel gestire i figli: una lettura sociologica"".

Abbiamo già parlato in precedenza (qui e qui) delle motivazioni che hanno portato il gruppo genitorialità a dar vita a questo momento di confronto e del percorso formativo che hanno svolto finora.

In questo post volevo riprendere due aspetti che mi hanno colpito della relazione molto chiara della professoressa.

Il primo, sottolineato più volte (e di cui si parla nel libro "Tra il dire e il fare" vedi anche post di Danielle richiamato prima) che è il processo di individualizzazione. Sempre più la società e la cultura di oggi mettono al centro i soggetti riconoscendo le peculiarità di ciascuno e il diritto alla realizzazione personale, possibile oggi molto più di ieri.

Questa centralità dell'individuo si contrappone (può contrapporsi) a ciò che gli è altro (il partner nella coppia, i figli nelle relazioni genitoriali) i cui interessi possono entrare in parziale conflitto tanto da obbligare a continue mediazioni. Da qui la necessità di dar vita a relazioni negoziali che mi sembra il secondo punto molto rilevante e sul quale riflettere.
Negoziare è ciò che dobbiamo fare continuamente (e se ci pensiamo bene è proprio così): col nostro partner, coi nostri figli e, come medici, con i nostri pazienti spesso più informati di noi sulle problematiche che essi stessi ci portano.

Acquisire consapevolezza delle trasformazioni in atto e delle conseguenze che hanno nella nostra vita mi sembra un ottimo modo non solo per capire ma anche per agire.

4 commenti:

  1. Ho trovato molto interessante la serata con Francesca Zaltron.

    Vorrei soffermarmi un momento su un punto critico.

    Nella sua prospettiva, che guarda le cose come sono e il perche' (da un punto di vista sociologico) le cose sono in quei dati modi in cui si presentano, mi sembra che non trovi spazio la patologia, che tutt'al piu' viene presa come una delle possibili variazioni.

    Fra i tanti modi di gestire la genitorialita' c'e' anche quello della madre disperata che getta dalla finestra la bambina appena partorita. O quello di genitori sistematicamente competitivi con i loro figli. O quello dei genitori che si pongono nelle prospettive della negoziazione con i loro figli, ma che contemporaneamente non sono in grado di utilizzare la propria empatia nel rapporto: genitori molto attenti e ''generosi'', ma che non capiscono niente dei loro figli, per cui risultano molto danneggianti in quanto sistematicamente squalificanti.

    Quelli qui ricordati sono tre esempi patologici di gravita' decrescente e di frequenza crescente.

    Noi siamo chiamati _anche_ ad occuparci di patologia. Ed e' certo che anche nel trattare la patologia dobbiamo chiedere ai soggetti di cui ci occupiamo che cosa fanno, e come e perche' lo fanno, ma gli intenti nostri sono differenti, perche' dobbiamo metterci nei panni non solo dei genitori, ma anche dei figli, assumendoci il compito di facilitare che le relazioni fra quei genitori e quei figli divengano piu' funzionali o almeno cessino di essere disfunzionali.

    Ma ''funzionali'' verso che cosa?

    Ecco: qui, ad aiutare il nostro orientarci, ricompare la prospettiva illustrataci da Francesaca Zaltron. Inevitabilmente, la valutazione della funzionalita' e della disfunzionalita' dei modi adottati dai genitori dei nostri pazienti e' connessa _anche_ alle nostre ideologie.

    Esserne consapevoli ci puo' permettere di essere un po' meno rigidi e un po' piu' attenti alle ideologie e alle motivazioni di loro, oltre che alle differenze con le nostre.

    Saluti a tutti.

    Paolo Roccato

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  2. Anche a me è piaciuta molto la serata con la Zaltron? E a voi? A qualcuno interesserebbe una serata ulteriore con qualche approfondimento? (Il direttivo sta ancora programmando le serate autunnali...).
    Vorrei sottolineare 2 cose, emerse martedì sera.
    Anche il bambino ha iniziato a essere considerato un individuo (dopo gli uomini, poi le donne. Forse adesso anche i disabili...) quindi una persona di cui vanno rispettati diritti, preferenze, esigenze ecc. Contemporaneamente però è un individuo particolare, perchè ancora in formazione, che deve perciò essere guidato, educato, protetto. Non esiste, nella società attuale, un modo uniforme e condiviso di equilibrare questi 2 poli. I diversi genitori, ma anche i diversi pediatri, educatori, insegnanti, magistrati ecc. pongono l'accento in modi diversi fra questi 2 poli (e a volte la stessa persona in momenti o in ambiti diversi!). Da qui nasce, almeno per quanto mi riguarda, la mia irritazione nei confronti di alcuni genitori. Per esempio: "Non gli dia l'augmentin perchè non gli piace" può essere un modo, legittimo, di cercare di rispettare, nei limiti del possibile, i gusti del bambino (il primo polo). La mia reazione istintiva: "Sono io il medico, so io cosa ti serve, lo prendi e non fiati" un modo ugualmente legittimo di sottolineare il secondo polo.
    Sarebbe interessante vedere, fra i modelli educativi che proponiamo, quanti sono legati a una sottolineatura (non consapevole) di uno dei 2 poli. Per esempio l'autosvezzamento sembra sottolineare il primo, il metodo "fate la nanna" il secondo. Forse per questo dividono e non sono accettati universalmente.
    Il secondo punto che per me è stato illuminante (e che emerge bene dal libro della Zaltron): se l'educazione è un processo circolare e non più verticale, le regole vanno calibrate caso per caso, sul singolo bambino, secondo le sue caratteristiche, il suo stadio di sviluppo ecc. Di qui la crisi dell'autorità. Soprattutto di quella paterna. Perchè la negoziazione delle regole (per applicarle al singolo bambino, nel singolo caso) richiede la conoscenza della quotidianità della vita del bambino, che è più spesso prerogativa delle mamme.
    Maria

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  3. Belli, molto belli i due precedenti commenti.
    Così belli che è difficile aggiungere qualcosa.
    Anzi no, una riflessione la voglio aggiungere. Mi sembra che dopo quanto sentito e scritto si possa mettere la parola fine alla pretesa di dettare regole educative valide per tutti; occorre conoscere e rispettare ogni bambino in quanto individuo, ogni famiglia con la sua storia e la sua cultura; aiutare i genitori a trovare le modalità di relazione più funzionali o meno disfunzionali, e le regole più equilibrate fra quelle a loro congeniali, mediando le esigenze di rispetto con quelle di educazione. E questo non solo per gli aspetti educativi, ma anche per la puericultura, pappe liquide piuttosto che pezzetti di cibo, bambino nel lettone piuttosto che nella sua stanza...rimanendo un po' più fermi per quelle poche cose in cui vi siano evidenza scientifiche ( allattare al seno se possibile, dormire a pancia sotto...in pratica il 6+1 ).
    Sembre più difficile il compito del pediatra, si direbbe...ma in fondo si tratta sempre e solo di saper ascoltare, di rispettare, di sostenere senza sostituirsi ai genitori, di restare consapevoli dell'importanza e anche della potenziale preziosità del nostro ruolo, ma senza la pretesa di essere i soli responsabili del benessere di quel bambino e i soli competenti in merito.
    Gianni

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  4. Condivido in pieno quanto scritto da Gianni (compito del pediatra : non dattere regole uguali per tutti ma rispettare individui e famiglie, aiutarli a mediare fra esigenze di rispetto e di educazione, ascoltare, sostenere senza sostituirsi). Ma vorrei ancora sottolineare una cosa.
    Il compito di educare in modo circolare e non verticale è nuovo e non è quindi strano che molti genitori si trovino in difficoltà.
    Inoltre è impegnativo: richiede tempo,ascolto (e sappiamo bene per esperienza professionale quanto l'ascolto non sia sempre semplice!), disponibilità e anche competenze che non fanno ancora parte in modo diffuso della cultura attuale. Richiede infatti di capire e conoscere molto bene il proprio figlio, i suoi bisogni, le sue capacità e i suoi limiti. Molte mamme istintivamente (neuroni specchio e altro...) ci riescono bene, ma non tutte e non sempre.
    "Ci vede?","lo vizio se lo prendo in braccio?", "è troppo piccolo per capire (un lutto, l'arrivo di un fratellino, la necessità di un ricovero)", "è normale che sia aggrssivo?":ecc: forse queste mamme in queste occasioni hanno qualche difficoltà a percepire il bambino come è.
    Bambini di 3 anni ancora col pannolino, di 6 anni col biberon o in passeggino, o al contrario bambini puniti con punizioni troppo distanti dal fatto o troppo lunghe, lattanti che dovrebbero dormire ininterrottamente per 8 ore ecc: alcune mamme hanno a volte difficoltà a fare richieste adatte all'età.
    E' qui che come pediatri possiamo fare molto (se abbiamo le competenze necessarie). Non si tratta di dre consigli o regole, ma molto più semplicemente di aiutare i genitori a vedere il bambino come è, di dare voce al punto di vista del bambino. DARE AI GENITORI GLI ELEMENTI PER COMPRENDERE e quindi metterli in grado di scegliere.
    Mi pare che per rispondere ai "nuovi" genitori questo debba essere il compito principale del "nuovo" pediatra.
    Siete d'accordo?
    Vi pare di avere una formazione sufficiente?
    Maria

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