Da anni come ACPO abbiamo l'abitudine di dedicare un martedì sera al mese, per la durata di circa due ore, ad un momento aperto a tutti i soci e che viene genericamente definito "di formazione".
Nel direttivo di ieri sera (20.04.2010) si è posto, come tutti gli anni, il problema di definire una serie di argomenti per riempire alcune di queste serate.
La scelta dell'argomento è in genere condizionata da due fattori: l'interesse di qualcuno per il tema proposto, la conoscenza più o meno diretta di un esperto competente e in grado di gestire le due ore.
Siamo tutti perfettamente consapevoli che questo tipo di didattica funziona pochissimo (a essere onesti non funziona affatto).
D'altra parte non potrebbe essere altrimenti. Anche il più bravo dei relatori, con due ore a disposizione e con quel tipo di setting, riuscirà al massimo ad essere un po' simpatico e a fornirci qualche spunto.
Possiamo accontentarci di così poco? E' giusto accontentarci di così poco? Può una professione come la nostra essere svolta con la dovuta professionalità quando alla formazione dedichiamo un martedì al mese?
Sono le domande che mi venivano in mente stamattina, ripensando alla discussione della sera precedente e alla "bioetica del quotidiano".
Confinare momenti formativi in quelle due ore del martedì è un approdo troppo regressivo per le esperienze didattiche che ciascuno di noi ha fatto, per la passione che ci mette nel lavoro, per il modo che ha di intendere la professione.
Non sarebbe più giusto rinunciare definitivamente all'idea che in quelle due ore si fa formazione e dedicarle ad obiettivi meno ambiziosi?
penso che in due ore si possa comunque fare formazione anche se forse non con la F maiuscola ! Credo di aver quasi sempre ricavato qualcosa dalle serate del martedi anche solo dallo scambio di idee con i partecipanti. Il problema secondo me e' un altro , la difficolta'di essere presenti tutti i mesi e soprattutto nel periodo invernale ,piu' carico di lavoro per noi .Come gia' avevo proposto al direttivo qualche anno fa io sarei per poche serate ( 3 anno ? ) in primavera , autunno .Piu' tempo per la preparazione , piu' possibilita' di partecipazione.
RispondiEliminaLa lettera di Paolo mi ha fatto riflettere e mi piacerebbe che molti dicessero il loro parere. Vi dirò il mio.
RispondiEliminaCosa mi aspetto dalle serate ACPO? Perchè continuo a venirci? Le occasioni di formazione (tipo convegni seminari ecc)di buon livello sono ormai tantissime e le riviste con articoli interessanti anche. Cosa ha di specifico l'ACP da offrire? Secondo me il taglio degli argomenti. L'ACP considera il bambino nel suo insieme, come parte della famiglia e tenendo conto degli aspetti psico-sociali. E' una scelta di campo (forse anche qui c'è una componente di bioetica)che definisce un particolare modo di essere medico che secondo me (e probabilmente secondo noi tutti) è l'unico che ha un senso. Mi ha molto colpita una frase riferita da Chiara e detta da alcuni suoi colleghi di equipe (in relazione ai temi dello svezzamento): "Non mi riguarda come mangia la famiglia". In realtà se vogliamo che il bambino mangi bene non possiamo non occuparci di come mangia la sua famiglia. Se vogliamo che il bambino stia bene come sta la sua famiglia è per noi importantissimo. Volersi occupare della famiglia e del contesto psico-sociale del bambino non è "buonismo" o catto-comunismo o una vocazione mancata a fare l'Assistente Sociale (come da alcuni ci viene rimproverato): è l'unico modo per avere qualche speranza di essere efficaci!
Nè la FIMP nè la SIP partono in modo coerente e costante da questa impostazione. L'ACP è l'unico luogo dove posso discutere sapendo che c'è questa opzione di fondo comune fra me e i colleghi.
Nell'affrontare qualsiasi argomento, anche quelli molto clinici, si sente la differenza fra chi ritiene di aver fatto il proprio dovere perchè ha fatto una diagnosi corretta e proposto una terapia secondo l'EBM e chi si preoccupa di capire se quella diagnosi sarà compresa in quella famiglia e se i genitori hanno le risorse economiche, psicologiche, culturali ecc per comprenderla e seguirla.
Certo non tutte le nostre serate sono ugualmente soddisfacenti. In particolare mi pare che la discussione sia in genere un po' fiacca. Credo che i relatori dovrebbero cercare di animarla, ma credo anche che la disposizione nella sala sia molto infelice e non ci aiuti. Col fatto che ci sono le slides si finisce in doppia o tripla fila, senza vedersi in faccia. Questo, secondo me, "passivizza" molto. Non so proporre alternative. Forse bisognerebbe contenere al massimo le slides e poi mettersi in cerchio a discutere. Che ne dite? Maria
Possiamo anche chiamarli in altro modo, i martedì sera, possiamo anche diradarli un po’, ma restano un momento importante di incontro e di confronto, e anche a mio avviso di formazione in senso lato, se per formazione non intendiamo solo l’acquisire la capacità di scegliere indagini e trattamenti riconosciuti dalla letteratura. Non credo che l’ACP possa sopravvivere di solo blog o di sola partecipazione ad iniziative nazionali, né che ci si possa incontrare solo all’assemblea annuale.
RispondiEliminaCertamente non si possono dedicare solo due ore al mese alla formazione, ma non credo che nessuno di noi faccia o pensi questo. Ci sono le letture e lo studio individuali, ci sono i sabati della Regione (che chi si impegna come animatore cerca faticosamente di migliorare), c’è il partire dai propri casi e dai propri dubbi per migliorarsi, e certamente chi ha più dimestichezza con il web e con la lingua inglese lo può fare meglio. Ci sono state in passato giornate di formazione importanti organizzate dall’ACP dell’Ovest.
E comunque anche solo le due ore a volte sono state interessanti, io non ho partecipato all’ultima sull’autosvezzamento però vedo che ha suscitato un dibattito, quindi ha fatto pensare; questi martedì sera potrebbero acquistare più spessore preparandoli meglio, ad esempio chi li organizza dovrebbe forse prestabilire due-tre obiettivi didattici confrontandosi con l’esperto quando presente e magari anche con la letteratura… ma si accettano altre proposte.
Gianni
Condivido sia il post che tutti i commenti che mi hanno preceduto. I martedì dell'ACPO non dovrebbero, a rigore, essere il nostro momento formativo principale, ma le occasioni non mancano e quindi dovremmo riservargli un ruolo di riflessione tra pari, su argomenti sui quali siamo già formati, per leggerli alla luce del nostro modo di vedere la pediatria, come sottolineato da Maria e Gianni.
RispondiEliminaPer fare questo dobbiamo scegliere attentamente gli argomenti e non sentirci in dovere di organizzarne uno tutti i mesi. Dobbiamo avere il bisogno di discutere quell'argomento e il relatore deve essere molto motivato, altrimenti vien fuori un serata fiacca, che non serve a nessuno. Trovo anche molto utile il successivo dibattito che potrebbe svolgersi sul blog, dove possono essere ridiscussi gli argomenti dopo attenta riflessione.
Ivo
Quanto è stato detto fin qui mi trova d'accordo e forse proprio perchè non consideriamo le serate del martedì un fondamento della nostra formazione possiamo continuare ad incontrarci con chi condivide con noi una certa visuale sul nostro lavoro , sul nostro impegno quotidiano con i bambini e con le loro famiglie per confrontarci e sentirci meno soli. Forse ciò che mi è più dispiaciuto in varie occasioni è stato l'impegno profuso da chi ha organizzato qualcosa al meglio e poi si è trovato davanti poche persone e poca attenzione.E anche ripetutamente. Spesso sono stata una sostenitrice dell'idea di chiudere, lasciar perdere, aspettare che qualcun altro proponesse...
RispondiEliminaPerò quando le serate vanno come ieri sera, si è magari subito pronti a cambiare idea: mi è sembrato un bell'incontro, di buon livello, con una relatrice che è stata molto brava anche nel coinvolgerci nel tema (e sappiamo quanto è stato difficile per alcuni di noi "entrare" nel linguaggio sociologico!). C'erano molte più persone del solito, il tema evidentemente era attraente, l'attenzione mi è sembrata alta, abbiamo avuto la possibilità di condividere un poco del percorso fatto nel gruppo genitorialità.
Come dice Gianni, si potrebbe anche fare di più e meglio (nulla riesce mai a piegarci...), per me dobbiamo accontentarci di fare quello che ci piace, che abbiamo voglia di condividere e discutere con chi lo vuole fare con noi. Anche per imparare. E senza aspettarci altro.
Chiara